Un’interpretazione critica
Facciamo luce e interpretiamo il mondo di questa rete di attivisti. Premetto che, se ne avete sentito parlare, forse, la loro battaglia inizia ad avere un senso.
Cos’è Ultima Generazione?
Un gruppo ecologista che compie azioni di disobbedienza civile non violenta, co-fondatori della rete A22. Il network A22 è appunto una rete di coordinamento a livello internazionale di strategie, metodi d’azione e mobilitazione che esige dai propri governi misure di contrasto al collasso eco-climatico. La disobbedienza civile non violenta, per come la definiscono, non è la non creazione di conflitto, perché chiaramente lo è, ma la posizione che si ha nel conflitto come codice etico e morale. Avrete sicuramente sentito parlare della Just Stop Oil (che fa parte della rete A22), che nel Regno Unito è salita agli onori della cronaca per il famoso barattolo di zuppa sul quadro di Van Gogh.
Chi li finanzia?
Il Climate Emergency Fund fornisce la maggior parte dei finanziamenti per il reclutamento, la formazione, il rafforzamento delle capacità di ogni campagna. “Climate emergency fund è stato fondato nel 2019 da Trevor Neilson – ex strettissimo collaboratore di Bill Gates – da Aileen Getty – figlia di John Paul Getty dell’omonima compagnia petrolifera – e da Rory Kennedy, figlia di Bob Kennedy” riporta la Verità.
Annotiamo che il regista Adam McKay ha versato al Cef 4 milioni di dollari. Altri sostenitori del Cef sono la “Erro! Foundation di Sébastien Lepinard” (fondo NextWorld), la “Eutopia Foundation” di Albert Wenger. Risulta anche George Soros come finanziatore di uno dei partner del Cef, il movimento Extinction rebellion: nel database di Xr, poi reso inaccessibile. Alla voce «Progetti di raccolta fondi» infatti, è stato trovato il suo nome, ma è l’unico donatore del quale non è stato specificato l’importo devoluto. Notizia che sarebbe stata smentita dal responsabile finanziario di Xr e non commentata dalla Open Society di Soros.
Cosa fanno?
È sempre bene ricordare che chi ne fa parte mette in gioco la propria vita, perde il lavoro, subisce denunce, e impiega il proprio tempo per una causa che non riguarda qualcuno in particolare, ma tutta l’umanità. Importante rammentare che si tratta di una realtà ampiamente diversificata dal punto di vista demografico, di genere, professione e appartenenza.
Le loro gesta, il modo in cui agiscono, è certamente opinabile e inusuale, non è un caso che ricevano attenzioni maggiori di proteste date luogo da migliaia di partecipanti. C’è da mettere in chiaro una cosa: non sono un partito politico, non vogliono consenso, vogliono polarizzare l’attenzione pubblica, vogliono una presa di coscienza generale sul più grande problema mondiale attuale. Il più grande problema che affrontano però non è, nella pratica, quello personale, ma quello collettivo. Empatizzare con le persone che subiscono un danno personale diretto o indiretto derivato dalle forme di protesta (es. bloccaggi di strade e autostrade e tutto ciò che ne consegue), che “rompono” la loro quotidianità, è talvolta straordinariamente difficile. Questo è un atto esogeno del cambiamento, qualunque altra trasmutazione, forma di protesta, ha delle conseguenze che possono essere invisibili all’occhio poco attento del “consumatore medio” ma più che visibile in termini economici, sociali e politici per alcune micro o macro aree di industrie e servizi.
Forse potranno far storcere il naso, come tutti gli attivisti, di qualunque fazione, perché essere attivisti implica l’azione e la reazione diretta, immediata e decisa delle parti in gioco, ma ricordiamoci che risultano fondamentali per la pressione su una creazione di un’agenda politico-ecologica nazionale, alla quale i partiti e il governo non sembrano essere interessati.
Sappiamo bene che il problema reale delle emissioni ci coinvolge direttamente, ma allo stesso tempo il fatto di essere solo un piccolo stato-nazione, e avere poca voce in capitolo nell’agenda climatica mondiale può scoraggiarci e anzi, farci porre la domanda “Alla fine… Perché lo fanno se in gioco c’è poco?” È facile.
La risposta la lascio a voi, ma piccoli o grandi cambiamenti che siano, la teoria della transizione, che parte da tutti, dal “basso” e perciò bottom-up (di solito si applica alla nascita di una democrazia) ha fondazione storica e scientifica. L’Italia, da parte sua, è una delle maggiori sostenitrici finanziarie dell’energia fossile (e chi finanzia lo stato?), piazzandosi nella top 10 globale di questa wall of shame.
Finora le azioni degli attivisti hanno smosso l’opinione pubblica. Vi sono stati anche riconoscimenti politici. Non sembra che al momento, in Italia, le varie azioni abbiano portato a danni irreversibili. Altre organizzazioni del movimento ecologista e ambientalista italiano (come Fridays For Future) hanno dato vita negli ultimi tempi ad alleanze con movimenti che si battono per i diritti dei lavoratori (GKN e altre) e la giustizia sociale, sostenendo che senza di questa non vi è nemmeno giustizia climatica. Per Ultima Generazione infatti, non è possibile separare le due cose, che vanno declinate in un’unica narrazione.
E pensare che le opere d’arte, poste al centro della protesta, a volte sono le stesse che all’epoca della concezione , destarono scalpore e vennero viste come atto di disobbedienza civile.