Nelle ultime settimane l’Europa è stata travolta (o, meglio, fermata) dalle manifestazioni dei produttori agricoli di vari paesi membri, che hanno percorso le autostrade tedesche, francesi, belghe, olandesi e, ovviamente, anche italiane, giungendo fino alle porte delle istituzioni europee. E dove poteva nascere tutto ciò, se non dalla locomotiva del treno?

Le contestazioni hanno avuto inizio in Germania, dopo la bocciatura della legge di bilancio del governo del cancelliere Scholz a causa di un buco di 60 miliardi di euro. Per colmare tale lacuna, si è pensato di tagliare le agevolazioni fiscali agli agricoltori e aumentare le tasse, come quella sul gasolio, storicamente ridotta in tutta Europa per queste aziende. Tutto ciò, unito alle importazioni di grano tenero, mais, polli e altri prodotti dall’Ucraina, ha reso la vita più difficile per gli agricoltori. Queste importazioni a prezzi favorevoli rendono i prodotti interni meno competitivi (preoccupa anche il probabile ingresso della nazione nell’UE, che comporterebbe una riforma della Politica Agricola Comune, visto il gigante agricolo che rappresenta), portando migliaia di coltivatori e allevatori a mobilitarsi contro queste decisioni, che fanno capo a Bruxelles. Come è noto, altri paesi, tra cui l’Italia, hanno seguito la Germania nel conformarsi agli impegni presi con l’UE riguardanti il sostegno al paese invaso dalla Russia e la transizione ecologica, facendo dilagare le proteste in tutto il continente, raggiungendo anche la nostra regione. Assisi, 24 gennaio; Orvieto, 2 febbraio; Orte, 30 gennaio e 2 febbraio; Perugia, Piazza Italia, 31 gennaio. Queste sono alcune delle manifestazioni che hanno avuto luogo sul territorio regionale, organizzate da decine di lavoratori agricoli che hanno bloccato autostrade e strade urbane per diverse ore. La governatrice Tesei (Lega) si è espressa a riguardo proprio da Bruxelles (lì per presenziare all’assemblea del comitato delle regioni): “noi, come regione Umbria, naturalmente stiamo cercando di sostenere la nostra agricoltura attraverso le risorse di cui disponiamo, creando anche processi di filiera, per esempio, che portano a sostenere anche gli agricoltori più piccoli, però ad oggi credo che la riforma sia da portare avanti a livello proprio di Commissione europea”.

Nel giorno della manifestazione in Place de Luxemburg, d’innanzi al Parlamento Europeo, abbiamo fatto alcune domande al delegato interprovinciale “Giovani Impresa” di Coldiretti Davide Nava, che salvo alcune riguardo la carne coltivata, si è detto allarmato dalla nuova faccia dell’Europa del post-Covid. In particolare vede “gli obiettivi per la sostenibilità ambientale, che l’Unione si è posta, troppo ideologici e irrealizzabili, poiché non tengono conto della sostenibilità sociale ed economica alle quali si dovrebbe accostare”. Parlando poi di competitività internazionale, si è espresso in merito a paesi come Cina e India, “con leggi meno ferree sul caporalato, la qualità e la sicurezza alimentare in confronto a quelle italiane, che porterebbero l’economia agricola del paese a soccombere alla legge di mercato, visti i prezzi minori a cui le due potenze, e non solo, potrebbero arrivare. Ha concluso sostenendo che le agevolazioni riservate a metodi di produzione ecologici, come la carne coltivata, le farebbero avere prezzi competitivi rispetto a quella tradizionale, rendendo quest’ultima un prodotto di nicchia, se non di lusso, venduta dai pochi che sopravvivranno alla bancarotta.

Oltre alla concorrenza ucraina, c’è un altro aspetto che viene visto con timore dagli agricoltori di tutto il continente: il Green Deal europeo, preoccupante per il settore date le ripercussioni che avrebbe sulla competitività delle aziende meno grandi, le quali avranno più difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti già messi in atto e a quelli in programma, come per esempio il mantenimento del 4% dei terreni coltivabili incolto e una riduzione dell’uso di pesticidi. Ma è davvero solo questo ciò che preoccupa i piccoli agricoltori, sui quali graveranno particolarmente i disagi economici? Nonostante Coldiretti abbia allarmato da mesi i consumatori, mettendoli in guardia dagli effetti collaterali legati alla farina di insetti o alla carne sintetica, ciò che viene veramente messo in discussione dalle associazioni di singoli agricoltori e aziende minori è soprattutto la distribuzione dei finanziamenti europei (PAC), che corrisponde a circa il 33,3% dell’ ultimo bilancio UE ma vede un approvvigionamento sproporzionato verso le grandi industrie, lasciando il piccolo produttore con conti salati e impossibili da pagare. Dulcis in fundo, la burocrazia comunitaria non assicura tempi rapidi per i finanziamenti e i rimborsi spettanti a queste categorie, pertanto anche l’organizzazione europea è oggetto di dibattito.

Ora aspettiamo l’evolversi della situazione (è notizia delle ultime ore l’avvicinamento di una colonna verso Roma) e quale sarà la risposta dei governi a tutte le problematiche presentate al tavolo. Le prime sono arrivate in questi giorni come nel caso dell’Italia, che stanzierà 3 miliardi in più del PNRR per l’agricoltura, e la Francia, con il primo ministro Attal che ha pronunciato un discorso di rassicurazione dove sono state messe sul piatto varie promesse. Discorso più complicato sarà per la Commissione Europea che, dopo il vertice straordinario del primo febbraio, si troverà a dover mettere sul piatto delle soluzioni concrete nel prossimo Consiglio Ue Agricoltura del 26 febbraio. Un appuntamento non previsto ma che le ultime settimane lo hanno reso sempre più necessario.