Braccio Fortebraccio da Montone fu un capitano di ventura le cui gesta risuonano fra storia e leggenda.
La biografia di questo personaggio affascina per quel suo alone di mistero alimentato dai racconti di guerre e fervide battaglie combattute con onore che lasciarono un segno ben evidente nella memoria storica per sempre in continuo mutamento, attorno alla quale ancora verte un senso di mistero e di inconsapevole scoperta.
Nonostante fosse detto anche “Lu storpiatu” perché claudicante per ferite riportate in gioventù, era bello, alto, fronte ampia, occhi grigi e imperiosi. Una personalità eminente, che lasciò traccia del suo percorso soprattutto nei luoghi che hanno visto il suo passaggio presso Perugia.
Dotato infatti di forte personalità e capacità militari divenne uno dei più famosi capitani di ventura del suo tempo e sottomise l’Umbria formando un piccolo stato nel centro italia. Perugino di nascita, vissuto a Montone, Braccio fu un condottiero di notevoli doti tattiche e militari, ma anche di fini vedute politiche. In appena otto anni di Signoria, lasció la sua impronta su Perugia con opere di grande utilità e bellezza. Il territorio di Montone fu abitato fin dai tempi più antichi come è dimostrato da diversi reperti romani e nella guerra tra Bizantini e Longobardi fu senz’altro un luogo fortificato per la difesa della strada che metteva in comunicazione Perugia con la via consolare Flaminia a Cagli.
È però nel IX secolo, dopo la vittoria dei Franchi sui Longobardi, che le popolazioni della valle cominciarono a darsi una fissa dimora edificando rocche e castelli con i relativi borghi. Dopo essersi retto come libero comune Montone nel 1216 per mettersi al riparo dalle mire espansionistiche di Città di Castello chiese la protezione di Perugia condividendone le sorti politiche e continuando ad avere propri consoli e statuti. La fama di Montone, comunque, è collegata alle fortune della famiglia Fortebracci che Andrea, detto Braccio, raggiunse il suo culmine.
IL PERSONAGGIO, tra storia e leggenda
Come in tutti i racconti su personaggi storici, spesso la leggenda e la realtà coesistono, soprattutto per coloro che, come Braccio, hanno fatto della loro vita un campo di battaglia. Tra il XV e il XVI sec. ebbero grande diffusione i capitani di ventura, comandanti di compagnie di mercenari al soldo del potente di turno. Lo scenario politico e militare italiano, affascinante quanto cruento, vide fiorire molti “principi condottieri” pronti a fronteggiarsi tra guerre, alleanze, tradimenti ed anatemi per guadagnarsi potere, fama e ricchezza.
La vita e le imprese di Braccio si inseriscono in questo clima rovente in cui spietatezza, sagacia militare e politica e spirito di avventura erano indispensabili al successo, e prima ancora alla sopravvivenza.
Braccio seppe circondarsi d’un’aura di timore e rispetto tanto che sulla sua lapide è riportato: “Braccius hic situe est. Queris genus actaque? Utrumque ni teneas, dicto nomine, nhil teneas”, cioè “Qui è sepolto Braccio. Chiedi la sua origine e le sue imprese? Udito il nome, se non sai di entrambe, non sai nulla”.
La sua fama durevole di uomo audace, crudele e ambizioso, arrivò persino al Manzoni che nella tragedia “Il conte di Carmagnola” (1816) lo ricorda col verso: “per tutto ancora con maraviglia e con terror si noma”. Tra le battaglie più importanti da lui combattute ne ricordiamo alcune; egli fu Il vincitore della
battaglia di Fabriano nel 1406, che si inquadra nel periodo delle lotte tra i Varano, i Malatesta, Montefeltro e Perugia.

Intorno alla battaglia di Fabriano c’è tutta una fioritura storica con sfumature di leggenda e vivacità di racconti: Malatesta sconfitto a Castelraimondo, cercò di rifugiarsi a Fabriano ma ben presto Fortebraccio circondò la città. Malatesta uscì dalla città per dare una lezione all’esercito che saccheggiava campagne e villaggi ma Fortebraccio portò i suoi stalloni al galoppo serrato sul campo di battaglia e, nonostante l’immane fatica a cui li aveva sottoposti, ebbe il sopravvento su Malatesta che peró possedeva ancora un poderoso complesso di milizia chi inviò sulle montagne nei dintorni di Fabriano per farla poi scagliare sui soldati dell’avversario. La cavalleria del Fortebraccio era in difficoltà per la stanchezza. Poi il condottiero, seguendo il suo istinto, decise di far passare davanti agli stalloni stanchi le giumente che nitrivano dolcemente, quasi a richiamare gli stalloni all’amore. I cavalieri rimasero sbalorditi e in quell’occasione Fortebraccio rassicurato esclamò: “Lo pizzicore dell’amore é più amabile che lo pizzicore delle verghe”. La cavalleria rianimata assaltò i Malatesta e vinse la battaglia di Fabriano.
Un’altra importantissima battaglia combattuta dal prode condottiero fu la battaglia dell’aquila
nel 1424, che però fu una delle rare occasioni che lo vide sconfitto. Una piccola macchia in una vita piena di gloria,