Se ripercorriamo velocemente alcune tappe della storia, a nessuno risulterebbe difficile annoverare un cospicuo numero di donne che si sono distinte per intelligenza e animo combattivo, ma quanto ne sappiamo invece sulle figure femminili che hanno combattuto su un campo di battaglia? 

Al contrario dell’immaginario comune, si conservano in tutto il mondo reperti archeologici che attestano la presenza di donne-guerriere sin dal XVII secolo a.C.  Non c’è dubbio però sull’interesse comune nutrito per una ragazza-guerriera in particolare, la cui indiscussa fama è bagaglio culturale di tutti noi sin dai tempi delle scuole medie: Giovanna D’arco, la guerriera francese che ribaltò le sorti della guerra dei cent’anni guidando le truppe francesi durante l’assedio d’Orleans (da questo la nomea di “Pulzelle d’Orleans”) e così impendendo agli anglo-borgognoni di occupare l’intera parte meridionale del Paese e marciare verso il sud fedele al re Carlo.

Giovanna d’Arco però è solo la punta di un iceberg che nasconde tante storie di donne che si sono contraddistinte come soldatesse, come quella dell’intrigante suora alfiere, Catalina de Erauso. Della sua rocambolesca vita abbiamo molte informazioni grazie a delle memorie scritte da lei stessa e molto probabilmente redatte per il re FIlippo IV di Spagna e pubblicate per la prima volta nel 1829 in Francia. Alcuni accadimenti descritti nell’opera sono così incredibili, e alcuni molto probabilmente anche alterati, che vennero anche messi in scena a corte dal drammaturgo Juan Pérez de Montalbàn sotto il titolo “Comedia famosa de la monja Alférez”. L’epiteto “suora”, destinato alla ragazza, in realtà è errato in quanto Catalina non prese mai i voti, ma solo una novizia a San Sebastian nei Paesi Baschi, dove nacque nel 1585.

Catalina nasce in una famiglia dedita alla guerra e al combattimento, era figlia del capitano Miguel de Erauso e i suoi fratelli si dedicarono alla vita da soldati mentre, verso i quattro anni, lei entrò nel convento domenicano di San Sebastian el Antiguo assieme alle sue sorelle. A causa del suo carattere imbelle Catalina venne trasferita nel convento di San Bartolomé, dove le regole rigidissime e le vessazioni di una delle religiose la portò a scappare dal convento a 15 anni, prima di prendere i voti. Dopo la fuga vagò qualche giorno prima di approdare a Vitoria, in cui prese la decisione di iniziare a vestirsi e a comportarsi da uomo per essere più libera di muoversi autonomamente. Lì iniziò a lavorare per un lontano parente che non la riconobbe sotto le spoglie mascoline. Successivamente, dopo aver derubato il parente, scappa e si stabilisce a Valladolid, luogo in cui incontrò suo padre, che la stava cercando ma non la riconobbe, e in cui divenne paggio reale con il nome di Francisco de Loyola. Catalina poi fuggì a Bilbao dove, compromessa in una rissa, venne imprigionata per poi recarsi a Estella dove divenne nuovamente paggio di un signorotto del posto. Tornò poi per poco a san Sebastian, dove neanche i genitori la riconobbero per il suo aspetto e successivamente si arruolò nella flotta in partenza per l’America. Sempre con il nome di Francisco si trasferì in Perù e lavorò come aiutante di un mercante spagnolo. Fu però nuovamente coinvolta in una rissa che si concluse con un cavaliere morto, un altro ferito e lei in manette. Il suo padrone l’aiutò a uscire dalla prigionia e la spedì a gestire i suoi affari a Trujillo. Intanto il famigerato cavaliere che lei aveva ferito poco prima la cercò in lungo e in largo con altri suoi compagni per vendicarsi. Una volta trovata, avvenne un’ulteriore zuffa che costrinse la donna a ripararsi in una chiesa. Il suo capo, allora, la mandò a Lima a lavorare nella bottega di un suo amico che la licenziò non molto dopo, colpevole di essersi innamorata della cognata del suo nuovo capo. A quel punto, nel 1619, si arruolò con il nome di Alonso Dìaz Ramirez de Guzman nell’esercito spagnolo che andava a combattere in Cile contro gli Indios Mapuche. La donna non sapeva però che il segretario del governatore del Cile fosse suo fratello, che in ogni caso non la riconobbe nemmeno quando la spedì al centro correttivo di Paicabì per qualche anno dato il corteggiamento di questa verso una sua amante.

Per quattro anni Catalina combatté senza tregua contro i Mapuche, finché raggiunse la carica di alfiere. Fino a che, a causa dell’ennesima rissa, questa volta a causa di un gioco a carte, ferì un ufficiale e uccise una guardia. Chiese asilo al convento di San Francisco ma, dopo appena sei mesi, riuscì ad allontanarsi andò a fare da padrino al duello di un suo compagno d’armi. Alla fine combatterono anche i due padrini e Catalina ebbe la meglio contro il padrino nemico che, incredibilmente, era suo fratello. La donna poi raggiunse il villaggio di Potosì, dove visse qualche anno per poi arruolarsi in una compagnia militare diretta alla regione di chunchos. Dopo aver racimolato abbastanza oro, lasciò le truppe e si stabilì a La Plata come amministratrice di una ricca vedova. Questa stabilità però durò ben poco dato che fu coinvolta in un nuovo affare losco che la coinvolse in un’altra zuffa. Catalina fuggì e successivamente iniziò a commerciare grano, tuttavia l’omicidio di un altro uomo per sua mano la fece condannare a morte, ma all’ultimo, quando già aveva il cappio al collo, venne assolta dalla condanna e lei tornò a Cuzco.

Ormai però Catalina è una pluriomicida ricercata in tutto il Perù, che alla fine venne riconosciuta e fermata  a Huamanga, non senza aver prima ucciso una delle guardie che la volevano arrestare e averne ferite due. Fu allora che l’alfiere Catalina, messa alle strette, chiese di poter parlare con il vescovo Agustin de Carbajal, a cui svelò la sua vera identità. Il cardinale, seppur commosso dalle intriganti storie di Catalina, asserì che la donna avrebbe dovuto scontare la pena nel convento delle clarisse di Huamanga.

Rimase nel convento di San Bernardo per due anni, ma venne esclaustrata quando si venne a sapere che la donna non aveva mai preso i voti a San Sebastian. Catalina ritornò in Spagna nel 1624, sotto le false spoglie di Antoni de Erauso, e iniziò a dettare o scrivere i testi che noi oggi conosciamo come sue memorie. Dopo essere stata ricevuta da Filippo IV, andò in Italia e interloquì con Papa Urbano VIII, il cui incontro per lei fu quasi risolutivo e lo narrò lei stessa : “Gli raccontai in breve la mia vita e le mie avventure, il mio sesso e la mia verginità[…] e con cordialità mi diede il permesso per continuare la mia vita in abiti maschili. Io mi impegnai a divenire onesta e a guardarmi dal recare danno al prossimo”. In sintesi Catalina ottenne la dispensa di vestirsi e firmarsi come un uomo. Nel 1630 riprese il mare e tornò in America, questa volta in Messico, dove organizzò un sistema di trasporti con i muli tra la capitale e Veracruz. Catalina, divenuta ormai una leggenda, morì nel 1650 nella località di Cuitlaxtla.

Della sua vita possiamo tracciare più o meno bene molti dei luoghi da lei toccati, ma possiamo anche figurarci l’aspetto di Catalina grazie ad un ritratto del 1625, realizzato da Juan Van Der Hamen, che la dipinge vestita da soldato con sguardo severo e assente, e attraverso una lettera del 1626 redatta da Pedro della Valle che descrive la donna, già trentacinquenne, con tali parole : “Alta e forte di taglia, dall’apparenza piuttosto mascolina, non ha più seno di una bambina[…] Di viso non è molto brutta, ma alquanto sciupata dagli anni. Veste da uomo alla spagnola; porta la spada con disinvoltura[…]ha più l’aspetto coraggioso di un soldato che di un galante cortigiano”.

La figura storica di Catalina de Erauso viene ricordata come suora, soldato, assassino, truffatore, seduttore, colonizzatore, ma queste definizioni non bastano per delineare la sua personalità.

Bibliografia:

National Geographic: “L’incredibile storia della sua alfiere” di José Maria Gonzalez Ochoa

Sitografia

Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanna_d%27Arco

Vanilla Magazine: https://www.vanillamagazine.it/catalina-de-erauso-la-monaca-alfiere-divenuta-leggenda-1/