“Splash” è un’espressione onomatopeica, evocante il rumore di un oggetto o qualcuno che cade in acqua, all’apparenza insignificante ma che nell’ultima edizione di Sanremo è stato qualcosa di più. Il duo musicale Colapesce Dimartino interpreta “Splash”, un brano dalla melodia malinconica e ricco di parole pungenti, tanto da aggiudicarsi il premio della critica Mia Martini e quello della sala stampa Lucio Dalla. La descrizione di un’ambientazione agreste domina la prima strofa alla quale segue una voce esterna che ammonisce il narratore, suggerendogli di staccare la mente, ovvero cercare di evadere dalla realtà. 

E’ proprio la realtà la protagonista del brano, presentata nella sua natura ambigua: un luogo felice dove l’uomo conduce la sua vita quotidiana, ma che lo spinge inesorabilmente verso una condizione di reificazione. Un termine fortemente significativo derivante dal latino res, ovvero cosa: l’uomo è come se subisse un processo di annullamento interiore, fino a diventare un semplice spettatore della sua esistenza. Le innumerevoli preoccupazioni, percepite come imprescindibili, della giornata non fanno altro che rendere l’individuo quello che il filosofo Seneca, nel De brevitate vitae, avrebbe definito un occupatus: una condizione di apparente occupazione data l’effimeratezza delle attività svolte, in quanto prive di significato spirituale. Non sono casuali, inoltre, il riferimento al mare ed alla sua immensità di colore blu e che sono metafora della vita: l’umanità è come se galleggiasse in questa massa di acqua, trasportata dalle onde delle varie faccende, ma senza avere la consapevolezza di ciò che sta subendo. Il lavoro costituirebbe, secondo il testo, la fonte di maggiore ansia per l’uomo la cui mente è piena di condizionali irreali (vorrei svegliarmi più tardi al mattino) e di desideri irrealizzabili come un viaggio alle Seychelles o a Panama. Ma viaggiare costituirebbe un tentativo inutile di evasione dalla propria insoddisfazione, come ricorda Seneca, in quanto la propria interiorità rimane immutata rispetto alla realtà esterna. La descrizione proposta dal testo sembra la raffigurazione di un uomo in un’atmosfera frenetica (il rumore delle metro affollate, il rumore dei cantieri infiniti) quasi futurista, dove la velocità e la frenesia sono preferiti rispetto ad una vita più placida. A tal proposito, sarebbe opportuno citare il personaggio di Belluca di cui Luigi Pirandello parla in una delle sue novelle. Un giovane impiegato che, per adempiere al ruolo di capofamiglia, deve svolgere due lavori, creando in lui la necessità di ascoltare il fischio di un treno. Un gesto che lo farà apparire un pazzo agli occhi delle persone a lui circostanti, ma comunque necessario per il suo stato mentale.

Si giunge alla conclusione che la vita è un baccarat, ovvero un gioco d’azzardo, dove il caso regna sovrano. L’uomo è in balia, secondo i Greci, della cosidetta Sorte, traducibile con destino ed incurante delle quotidiane attività umane. Si tratta di un personaggio fondamentale all’interno della tragedia, che fa procedere il corso della storia secondo una legge imperscrutabile a tutti.

Dunque, a cosa condurrebbe l’incessante tensione verso un qualcosa che potrebbe rivelarsi di poco conto? Cosa comporterebbe a noi, docile fibra dell’universo, far fischiare il treno durante le nostre lunghe giornate per cercare di non impazzire come Belluca, emblema dell’uomo borghese attuale.

Sarebbe utile ,forse, gettarsi tra le onde di un mare, anche in tempesta, cercando di non lasciarci trascinare dalle inutili occupazioni ed assaporare, talvolta, la nostra più profonda spiritualità poiché, come Seneca ricorda,Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus (Non abbiamo poco tempo, ma molto ne perdiamo).