Domenica 26 i ragazzi di Filippo Volandri hanno scritto la storia del tennis italiano, battendo l’Australia già finalista perdente lo scorso anno e riportando in Italia la coppa Davis, unico torneo dello sport in cui ci si affronta a squadre e in base alla nazionalità. Una competizione che ha visto il nostro Paese con una solo vittoria nel 1976 e molte delusioni dovute alle 6 sconfitte in finale, di cui 3 proprio contro gli australiani. Una finale che gli spettatori, dopo la vittoria sofferta del primo singolarista Matteo Arnaldi, hanno vissuto con serenità, senza quell’ansia che di solito caratterizza gli atti conclusivi di un torneo. Ma com’è stato possibile che in un trofeo così prestigioso e maledetto per la nostra squadra ci si è ritrovati sicuri della vittoria? La risposta ha un nome e un cognome altoatesino, Jannik Sinner, ragazzo prodigio classe 2001 che, dopo la sua vittoria contro De Minaur, il nostro paese ha portato in trionfo come eroe, ponendolo subito a orgoglio nazionale e accostandolo ad altri italiani che sono stati un polo attrattivo di tifosi per il loro sport, come può essere stato Valentino Rossi per le moto. Eppure, questo encomio collettivo lascia perplesso chi il tennis lo segue da anni e con esso anche Sinner, dato che nel suo percorso si è spesso trovato di fronte più a un coro di critiche che di lodi. A volte nei limiti della critica costruttiva, molto più spesso no. È possibile ricostruirle partendo da un’altra sfida tra De Minaur e il tennista di San Candido, cioè la Next Gen Finals di Milano 2019 vinte proprio da quest’ultimo e che per la prima volta posero l’attenzione sul suo talento da parte del grande pubblico, ponendo su di lui grandi aspettative e speranze benché avesse appena 18 anni. Forse fu proprio questo il motivo per cui gli opinionisti lo punzecchiarono molto a ogni calo di prestazione per le ragioni più svariate.
Tra le prime troviamo quella legata al servizio realizzato per la sofferta finale dell’ATP 500 di Washington del 2021 in cui, nonostante la vittoria, i numeri non risultarono confortanti: 57% di prime al servizio e sempre 57% di seconde vinte, indice di un colpo abbastanza attaccabile. Proprio questa debolezza, insieme ad altre lacune nel suo gioco, lo portarono a non andare alle Olimpiadi per migliorare. Due anni dopo si può dire in tranquillità che la battuta è di un livello da top 5 al mondo, dimostrato appieno nella finale dell’ATP 500 di Vienna contro Medvedev: 83% di prime al servizio e 89% di seconde vinte. A ciò deve aver contribuito anche il passaggio avvenuto a febbraio 2022 dallo storico coach Piatti alla coppia Vagnozzi-Cahill che però fece nascere una nuova polemica riguardante la fragilità fisica del ragazzo dovuta a un inizio di stagione con numerosi ritiri (Indian Wells, Miami e soprattutto il Roland Garros) e performance sottotono a livello agonistico. Per molti un limite che gli avrebbe impedito di giocare con costanza ad alti livelli, una considerazione che si è ampiamente dimostrata falsa in questo 2023. La stagione appena vissuta ne è la dimostrazione e l’esempio migliore sta nella semifinale contro la Serbia dove, dopo una settimana di 5 lunghe partite di ATP Finals, Sinner ha prima battuto in 3 set il numero uno al mondo e poi, dopo appena 15 minuti di pausa, ha vinto il doppio decisivo. Questo ovviamente non garantisce che le prossime stagioni vedranno sempre questa integrità fisica, ma dimostra che con una buona preparazione la continuità di giocare è più che possibile. Un’altra cosa spesso recriminatagli è la sua scarsa attitudine a battere i giocatori più forti, accentuata a inizio anno dalle varie sconfitte in finale o semifinale con i vari Alcaraz, Djokovic e Medvedev. A smentire ciò sono i dati che vedono l’altoatesino come il giocatore che ha battuto più top 5 in questo anno (10) che più volte di tutti, è riuscito a sconfiggere Alcaraz (5) e l’unico nella storia a vincere contro “Djoker” annullandogli 3 matchpoint. Cos’altro chiedere a questo ragazzo? Se questa domanda fosse stata posta a inizio settembre molti gli avrebbero recriminato il mancato attaccamento alla maglia azzurra. Infatti Sinner aveva deciso, dopo gli US Open, di non prendere parte ai gironi di Coppa Davis motivando di “non aver avuto abbastanza tempo per recuperare dai tornei in America”. In Italia si è subito urlato al traditore a partire dai vari quotidiani sportivi, rinfacciandogli le altre volte in cui ha messo in secondo piano gli impegni della nazionale, come l’Olimpiade già citata, per la sua carriera da singolarista. Questo ragionamento, pregno di moralismo patriottico che risulta fine a se stesso, non tiene conto di quanto sia in realtà importante la condizione fisica per uno sportivo al quale non si può chiedere di giocare sempre. Un Sinner totalmente privo di energie non sarebbe stato in grado di dare molto valore aggiunto alla Nazionale, avrebbe tolto un posto a un tennista magari più riposato e lo avrebbe reso più vulnerabile a infortuni che avrebbero rischiato di compromettere la sua presenza alle fasi finali, che invece c’è stata ed è stata determinante per la vittoria. La sua lucidità in quelle gare non sarebbe stata la stessa se non ci fosse stato quel periodo di riposo a inizio settembre, che lo ha preparato al meglio per questo fine stagione e ha dimostrato che la rinuncia ne è valsa la pena, anzi, la coppa. Una coppa che parte da De Minaur e finisce con De Minaur, con in mezzo 4 anni di carriera che hanno visto un giocatore diventare campione, superando i periodi di difficoltà fisiologici in un percorso di crescita come il suo, ma che sono stati esasperati secondo la logica del “tutto e subito”. A tutto ciò la risposta migliore è sempre stato il garbo e la tenacia espressa da Sinner in ogni match, i denti stretti negli scambi più duri e quel pugno destro, ben stretto per far percepire a sé stesso di essere dentro il match e tenuto in alto per farlo vedere bene a chi è intorno a lui.