Tra gli spettacoli che trattano problematiche contemporanee e vicine al popolo, vi è Tutta casa, letto e Chiesa del 1977. In esso l’ultimo monologo recitato da Rame è Medea che vede protagonista l’omonima eroina della tragedia euripidea, risalente al V sec. a.C. Non è un caso che la coppia Fo-Rame attinga dalla classicità, considerata dallo stesso Fo “un serbatoio inesorabile di spunti,idee ed immagini”.  I racconti mitici sarebbero utili a spiegare fenomeni contemporanei dimostrando che il passato dialoga con il presente e, grazie a ciò, rimane vivo in perpetuo.

Tale riflessione potrebbe essere riassunta con il termine “transistoricità”, caro allo studioso Jean-Pierre Vernant :la μίμησις(“imitazione”), infatti, permette ai personaggi tragici, che parlano sulla scena, di creare uno stretto rapporto con il pubblico in platea, annullando la distanza spazio-tempo.

Anche la stessa rappresentazione dell’eroina da parte di Fo concorre a quest’idea. L’immagine infatti evoca i due volti: quello di Medea e quello di Franca, come se ci fosse una continuità tra le epoche in cui vivono le due donne. Si tratta quasi di una forma di denuncia che, a differenza dell’opera in versi, colpirebbe di più l’attenzione grazie ai tratti scuri e marcati della raffigurazione.

Da menzionare è, sicuramente, la Medea di Pier Paolo Pasolini (1969) interpretata dalla cantante lirica Maria Callas. Qui il personaggio assume i tratti fisici di una donna piena di collera per il comportamento del marito, come lo sguardo intenso e cupo dell’attrice intensificato dal trucco di scena. 

A suo tempo il tragediografo Euripide compone un’opera innovativa portando sulla scena una donna che,per vendicarsi del marito, uccide i propri figli così da interrompere la discendenza.

La studiosa Eva Cantarella, nel libro L’ambiguo malanno, riporta tale riflessione circa l’Atene dell’epoca:“era la città di Socrate,nella quale viveva Aspasia, e nella quale la questione femminile era oggetto di acceso dibattito”. Il tragediografo, perciò, sarebbe così influenzato dall’atmosfera culturale della polis tanto da presentare nelle sue tragedie personaggi femminili con una forte caratterizzazione. Oltre alla tenace Medea, vi è anche Alcesti, moglie pronta a sacrificarsi per amore del marito Admeto. 

Medea, dunque, è un personaggio faber fortunae suae, che giunge ad identificarsi con lo stesso destino: come nelle tragedie euripidee, diventa marginale il ruolo degli dei e del fato, lasciando spazio alla componente umana. A differenza della presenza costante divina in Eschilo e Sofocle, i testi dell’ultimo dei tre tragediografi si concentrano maggiormente sui comportamenti e sulle azioni dei protagonisti.

Medea, però, non è solo una donna che cerca di affermare se stessa, ma è anche una maga e ciò la renderebbe ancora più ostile all’immaginario classico.  Medea ha appreso da sua zia Circe l’arte magica che le permetterebbe di creare prodotti, con il fine di raggiungere i suoi scopi. Si potrebbe definire Medea, dunque, come una stratega che con l’astuzia cerca di far prevalere se stessa vincendo ciò che la ostacola.

Il duo Fo-Rame riprende la figura di Medea, ma in modo diverso. 

In primo luogo, l’attrice è sola durante tutto lo spettacolo, ma assume diversi ruoli rispetto al proprio, indicati nel testo attraverso degli spazi bianchi: Medea, infatti, all’inizio interpreta il ruolo del coro greco che racconta l’accaduto, a seguire ritorna al suo personaggio di donna abbandonata. L’attrice riesce a catturare l’attenzione del pubblico verso di lei, attraverso una notevole gestualità ed un forte timbro della voce, tipici del teatro Fo- Rame.

Da non tralasciare è, sicuramente, l’utilizzo del linguaggio: si tratta di una lingua fuori dalle convenzioni della grammatica in quanto è un “italiano arcaico”, come ricorda Franca Rame in un’intervista-spiegazione dello spettacolo.

Procedendo ad un’analisi testuale, la prima parte del copione è riservata al racconto come fosse un flashback della storia di Medea, con il riferimento al coro delle donne di Corinto attraverso il pronome “noi”. Come nel testo greco, il coro femminile esprime la sua solidarietà verso la rabbia di Medea, tanto che Fo e Rame utilizzano l’espressione “amiche mee” per mantenere la continuità con l’opera euripidea.

A seguire, è possibile ragionare attorno al termine “legge” che nel testo tragico alluderebbe alla legge umana, ovvero quella che governa la vita degli uomini.                                                                                     Nello spettacolo di Rame tale termine indicherebbe la regola per cui la donna che invecchia perderebbe la sua bellezza, a differenza di un uomo che diventerebbe più virile: questo giustificherebbe il tradimento di Giasone con la giovane figlia del re, ancora nel fiore dei suoi anni.

“Legge”, però ,potrebbe rinviare anche al significato di legge giuridica con chiaro riferimento alla denuncia socio-politica: il contesto caldo in cui lo spettacolo viene scritto non negherebbe l’ipotesi dell’allusione alla legge sull’aborto varata l’anno successivo (1978).

Le parole della Medea greca e di quella contemporanea sono quelle di una donna arrabbiata,che percepisce la solitudine dopo l’abbandono di suo marito e nella sua testa è presente il tremendo penziero di uccidere i suoi figli.                                                                                                                                          Medea dimostra una forte caratterizzazione psicologica, tratto in comune con il personaggio greco: la donna preferisce essere ricordata come una bestia piuttosto che una “cavra manzueta”,ovvero un soggetto facile da sottomettere.

Nonostante la sua caparbietà, Medea deve comunque affrontare il giudizio della società che condannerebbe il comportamento ferino della donna. Come spiega la stessa Medea a Giasone alla fine dello spettacolo: “ogni donna diventa folle in quanto è fazzile e rancore,envidia e llamento”. La maga decide di uccidere i figli con la propria mano affinché suo marito possa soffrire: si tratta di un gesto di rivolta contro il sistema patriarcale che ha imprigionato Medea all’interno di una gabbia e lasciare spazio, ora, ad una “donna nova”. Nelle parole e nelle azioni della Medea contemporanea è ancora più evidente il percorso psicologico del personaggio: si raggiunge la consapevolezza della propria condizione di donna nell’epoca di una generale presa di coscienza attuata attraverso le lotte del movimento femminista.

Secondo l’autrice la studiosa Eva Marinai, è l’atto folle dell’omicidio a fare uscire Medea dalla propria condizione, senza utilizzare la giustificazione della componente dionisiaca dell’azione, attingibile dal mondo classico. Grazie a questo, si interromperebbe l’andamento regolare e ciclico della storia permettendo di associare un nuovo senso alle cose. La Medea classica potrebbe essere paragonata alla Fenice che risorge dalle proprie ceneri, ed ottiene la “divinizzazione” trasportata sul carro di Apollo. 

Nella Medea contemporanea, invece, è assolutamente evidente il riferimento al desiderio di novità, ancora in itinere ; l’auspicio, dunque, del verificarsi di un atto folle è ancora vivido negli animi di coloro che vorrebbero voltare pagina, attuare una rivoluzione, come Medea che è riuscita ad affermare se stessa.