Risulta difficile trovare, negli ultimi tremila anni, delle cariche che abbiano resistito al continuo susseguirsi di avvenimenti che caratterizzano la storia. Tutte, perfino quella di Imperatore d’Oriente o di Faraone, hanno visto tramontare la loro gloria e lasciar cadere poi in disuso le loro onorificenze. Ce n’è invece una che, dopo più di 2700 anni, è ancora in vita e che ancora usiamo per riferirci alla persona che ricopre quel determinato ruolo: il Pontefice.

Il ruolo di pontefice risale al titolo arcaico romano di “pontifex”, con cui si indicava un tipo di sacerdote e la cui etimologia sembrerebbe significare “costruttore di ponti” oppure “capaci di fare”. Nel “De lingua Latina” di Marco Terenzio Varrone, autore di I secolo a.C e fonte di queste due opzioni, si appoggia la prima ipotesi con l’argomentazione che i pontefici della Roma arcaica costruirono e restaurarono più volte il ponte Sublicio, tant’è che vi svolgevano dei riti sacri. Alcuni ipotizzano che fossero figure necessarie e rilevanti perché il ponte era fondamentale per la vita dei primissimi abitanti dei 7 colli. Ad ogni modo i pontefici formavano il collegio dei pontefici da cui veniva eletto il “Pontifex Maximus”, anche se dal 104 a.C venne eletto direttamente dai cittadini. Aveva il compito di controllare la corretta esecuzione di riti e sacrifici per mantenere la “Pax Deorum”, cioè la condizione di concordia tra i cittadini e gli Dei. Questo ruolo religioso, andando avanti in epoca tardo repubblicana, divenne sempre di più legato alla politica e vide il suo apice con l’ascesa al potere di Giulio Cesare, che venne eletto Pontifex Maximus con l’obiettivo di aumentare il proprio prestigio e creare un culto di “divus” intorno la sua figura. Cosa che non riuscirà a lui ma ad Ottaviano, anche lui pontefice con lo scopo, afferma lo storico Renato Del Ponte, “di avere il potere di formulare il diritto sacro, che durante la repubblica era restato in possesso di un ristretto gruppo di famiglie senatoriali”. Da lui in avanti gli imperatori romani ricevevano questa carica, ma delegando spesso le varie mansioni a un membro anziano del collegio, successivamente istituzionalizzato e chiamato “promagister”, e che vedrà nel tempo un’evoluzione molto interessante, descritta dal già citato Del Ponte nell’articolo “L’Imperatore Pontefice Massimo e il promagister”. La situazione iniziò a cambiare con l’apertura al cristianesimo, benché i primi imperatori cristiani mantennero la carica e una posizione di ambigua tolleranza verso il paganesimo. Cosa che non avvenne con l’imperatore Graziano, che per primo si rifiutò di essere nominato e ruppe così il binomio di capo politico-religioso, nonostante la continua influenza che le due parti avevano l’una sull’altra. Ma quindi, quale sarà stato il primo Papa ad assumere questo ruolo ufficialmente?

La risposta potremmo trovarla nell’editto di Teodosio del 380 d.C “de fide catholica”, dove l’imperatore si riferisce a Damaso I usando espressamente la parola “Pontifex” e non chiamando così nessun altro vescovo. Forse questo riconoscimento sarà uno degli elementi che renderanno sempre più importante il vescovo di Roma rispetto gli altri e che gli permetteranno, in epoca medievale, di acquisire sempre più potere. 

Oggi il concetto di pontefice, che la Chiesa ha conservato nella sua secolare storia, ha però una concezione diversa, ben spiegata da Papa Francesco nel suo primo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e che richiama proprio l’etimologia raccontata da Varrone: «Uno dei titoli del Vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini”.