Doppio appuntamento al Teatro Lyrick di Assisi con la stagione “Scopriamo le carte” – promossa dall’associazione culturale ZonaFranca, con direzione artistica di Paolo Cardinali, in collaborazione e con il contributo della Città di Assisi – con “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” di Jacopo Ortis mercoledì 15 novembre (alle 21.15) e “Il lago dei cigni ovvero il canto” del Balletto di Roma giovedì 16 dicembre (alle 21.15).
Il Vajont di tutti, riflessi di speranza – Sul palco la pièce teatrale, scritta da Andrea Ortis, regista e interprete friulano. Lo spettacolo si snoda su due binari narrativi paralleli, i quali talvolta si sovrappongono, pur mantenendo connotati identitari riconoscibili: da una parte si assiste a un dettagliato racconto dello scenario storico del secondo dopoguerra, che va dagli anni ‘20 agli anni ‘60 del Novecento italiano, attraverso un viaggio nelle tradizioni secolari delle comunità montane e lungo il tracciato delle radici dialettali e popolari del nostro Paese; dall’altra si ripercorrono minuziosamente gli eventi e le dinamiche umane che, nella loro concatenazione minata da superficialità e negligenze, culminarono nel disastro.
“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” è l’Italia che vuole rialzarsi dopo lo sfacelo delle guerre mondiali; l’Italia che inventa, scopre e sperimenta; il Paese delle grandi opere civili che, in meno di vent’anni, ricostruisce sé stesso e parte del proprio futuro. Lo spettacolo presenta la reale ricostruzione degli accadimenti processuali relativi alla tragedia che colpì, il 9 ottobre, il territorio al confine tra la provincia di Belluno e quella, al tempo, di Udine (oggi di Pordenone), conosciuta come “il disastro del Vajont”.
“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” rende presente un accadimento che, pur parte di un recente passato, dichiara tutta la sua drammatica attualità nel profondo e complesso rapporto tra uomo e natura, nella crescente richiesta di energia ed il conseguente bilanciamento tra questa e la tutela dell’ambiente. Così, questa storia, nel suo incedere, dalla prospettiva particolare degli eventi che la caratterizzano, si amplifica in una dimensione generale, diventando il racconto di Sarno, della Val di Stava, fino alle tristi vicende di San Giuliano di Puglia, Amatrice, Rigopiano e Genova, il cui comune denominatore si rinviene nell’uomo e nella sua avidità, nella sua scientifica aggressione delle risorse naturali, attraverso il disboscamento, la cementificazione selvaggia e l’edificazione abusiva, turbando, con la sua delittuosa ingordigia, gli equilibri millenari di ogni forma di vita, finanche la propria.
Il lago dei cigni ovvero il canto – A otto anni dal suo debutto nel 2014, Balletto di Roma propone il riallestimento di uno tra i più apprezzati successi della compagnia romana, la nuova versione di un classico d’eccezione: “Il Lago dei Cigni, ovvero Il Canto”, firmato da Fabrizio Monteverde.
Tra le suggestioni di una favola d’amore crudele e i simboli di un’arte che sovrasta la vita, Monteverde reinventa il più famoso dei balletti di repertorio classico su musica di P. I. Čajkovskij, garantendo quell’originalità coreografica e registica unica che da sempre ne caratterizza le creazioni e il successo. Capolavoro del balletto, sintesi perfetta di composizione coreografica accademica e notturno romantico, di chiarezza formale e conturbanti simbologie psicoanalitiche, “Il Lago dei Cigni” è una favola senza lieto fine in cui i due amanti protagonisti, Siegfried e Odette, pagano con la vita la passione che li lega. Una di quelle “favole d’amore in cui si crede nella giovinezza” avrebbe detto Anton Čechov, scrivendo nell’atto unico “Il canto del cigno” (1887) di un attore ormai vecchio e malato che ripercorre in modo struggente i mille ruoli di una lunga carriera.
Con dichiarata derivazione intellettuale dallo scrittore russo, il Lago di Monteverde trova ne “Il Canto” il proprio naturale compimento drammaturgico e in un percorso struggente di illusioni e memoria porta in scena un gruppo di “anziani” ballerini che, tra le fatiche di una giovinezza svanita e la nevrotica ricerca di un finale felice, ripercorrono gli atti di un ulteriore, “inevitabile” Lago. Persi tra i ruoli di una lunga carriera, i danzatori stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta si aggrapperanno ad un ultimo Lago, tra il ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita e il tentativo estremo di rimandarne il finale.
Individualità imprigionate in una coazione a ripetere, sabotatori della propria salvifica presa di coscienza oltre i ruoli di una vita svanita, gli interpreti ripercorreranno la trama di un Lago senza fine, reiterandovi gesti e legami nella speranza straziante di sopravvivere al finale di una replica interminabile.
Condannata ad una perenne metamorfosi, donna a metà tra il bene e il male, Odette/Odile sarà cigno e principessa, buona e crudele, amante fedele e rivale beffarda. Metafora di un’arte che non conosce traguardo, cercherà se stessa in un viaggio tormentato d’amore, tradimento, prigionia e liberazione. In un teatro in cui tutto ha inizio e nulla ha mai fine, andrà incontro agli stracci consumati di una vita d’artista con lo spirito bianco di una Venere per sempre giovane.
Attraverso la sovrapposizione con la novella di Anton Čechov, dunque, “Il canto del Cigno”, quella che era una favola senza lieto fine in cui i due amanti, Siegfrid e Odette, pagano con la vita la passione che li lega, diventa la parabola di danzatori stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta che si aggrappano al ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita. Condannata a una perenne metamorfosi, Odette/Odile è buona e crudele, amante fedele e rivale beffarda. La incarnano in scena Roberta De Simone nel ruolo del Cigno Bianco e Carola Puddu in quello del Cigno Nero, che insieme danzano la metafora di un’arte che non conosce traguardo, un viaggio tormentato d’amore, tradimento, prigionia e liberazione.