Ormai gennaio ha ceduto il passo a febbraio, ma vorrei ugualmente cogliere l’occasione per parlare di una poesia cantata di De Andrè, intitolata “Preghiera in gennaio”.
Il freddo corre fra le strade, i visi si nascondono dal vento che smuove gli animi, turbati dall’avanzare di una inquietudine profonda. Un mese di preghiera per alcuni, di riflessione e di solitudine per altri, i quali, celati dal bianco velo dell’inverno, si specchiano nell’ombra d’un albero spoglio. Proprio in questo mese De Andrè scrisse una poesia, di supplica e di condanna al moralismo, dedicata all’amico suicida Luigi Tenco, per cui sentì l’esigenza di esprimere i suoi sentimenti. Il cantautore intende così chiedere a Dio di accettare in paradiso chi ha scelto di morire perchè oppresso dall’ “odio” e dall’ ”ignoranza”, termini che usa per rifarsi all’isolamento e alla sofferenza, conseguenze delle delusioni che, inevitabilmente, colpiscono ognuno di noi più o meno in profondità. Ma questa canzone non trasmette solo malinconia e rassegnazione nel nominare quell’ “ultimo vecchio ponte” che tutti prima o poi dovranno attraversare, ma accoglie anche il pensiero che queste anime possano percorrere un “sentiero fiorito”, cioè finalmente raggiungere la pace e non la dannazione.
E’ impressionante come la tematica del suicidio sia qualcosa di terribilmente attuale e che sia in grado di mutare in base agli ostacoli più invalicabili che un individuo è richiamato a superare in un momento di difficoltà. Negli ultimi anni a livello statistico si è verificata una minore resilienza di fronte a “eventi critici”: misure di quarantena collettiva, il pericolo delle crisi sanitarie con le associate conseguenze economiche e sociali, hanno provocato un aumento della rischiosità suicidaria, di cui la ragazza 19enne ritrovata nel bagno pochi giorni fa è l’esempio. Il filo che lega tutti i fattori di rischio per il suicidio è l’incertezza e la perdita di speranza per il futuro.
Chiedersi il perché tutto ciò accada sempre più frequentemente deve farci riflettere sul valore della vita e sulla perdita di cui ognuno di noi deve sentirsi oltraggiato. A che scopo soffrire? una domanda a cui non troviamo risposta e che ci rende spesso inquieti e angosciati di fronte all’esistenza. L’insieme di comportamenti e azioni adottate dai suicidi, che spesso molti trovano assurdi, in realtà non sono che il riflesso del forte disagio esistenziale che si annida in chi trova dolore o ancor peggio un vuoto nella ricerca di sè stesso. Eppure non è di certo la sofferenza a spingerci verso il desiderio di morte, ma il suo rifiuto: è importante interrogarsi se togliere ad ogni costo la sofferenza dal mondo abbia un senso, e se questo procedere verso un illusorio benessere non conduca l’uomo a dolori ancora maggiori. Quando un individuo arriva ad una situazione di morte apparente, cerca qualunque modo che lo faccia fuggire dall’attuale situazione di sofferenza in cui si trova, ed è così che, ritrovandosi con problematiche ben più grandi di quelle raggiungibili dalla ragione umana, decide di compiere l’estremo atto come fuga dai problemi che possono essere di diversa natura. Nel nostro caso, uno dei motivi che spinse Tenco a mettere fine alla sua vita è, probabilmente, il fallimento. La canzone che infatti presentò a SanRemo nel gennaio del 1967 intitolata “Ciao amore ciao” non ebbe molto successo e questo fu inevitabilmente fonte di sconforto per il cantante che si tolse la vita poco dopo la fine del festival. De Andrè, uno dei migliori amici di Tenco, rimase talmente colpito dal fatto che non ne venne eseguito il funerale, dato che all’epoca non veniva concesso ai suicidi, che scrisse quella che solo poi intitolerà “Preghiera in gennaio”; attraverso questa invocazione parlava indirettamente al divino e alle persone aventi diritto alla salvezza divina. Riuscire a percepire la voce o meglio l’eco delle grida soffocate e ormai cancellate dal tempo dei suicidi, che ancora viaggiano con il vento, ci deve rendere consapevoli della morte, di come arrivi e del perché si concretizzi nella prospettiva di chi non vede altre possibilità di liberarsi dal dolore.
La vita è sia libero arbitrio che ineludibilità, si intrinsecano bellezza e incomprensibile allontanamento. Questa grande separazione, quale lo scegliere di morire, dilaniano l’uomo che di fronte ad una scelta deve necessariamente scindersi per un istante, fino ad annullarsi.