“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” è il titolo del prossimo spettacolo in scena il 15 novembre alle 21.15 al teatro Lyrick di Assisi, nell’ambito della stagione “Scopriamo le carte”, promossa dall’associazione culturale ZonaFranca, con direzione artistica di Paolo Cardinali, in collaborazione e con il contributo della Città di Assisi. Prevista anche una matinée alle 10 riservata alle scuole.
Sul palco la pièce teatrale, scritta da Andrea Ortis, regista e interprete friulano. Lo spettacolo si snoda su due binari narrativi paralleli, i quali talvolta si sovrappongono, pur mantenendo connotati identitari riconoscibili: da una parte si assiste a un dettagliato racconto dello scenario storico del secondo dopoguerra, che va dagli anni ‘20 agli anni ‘60 del Novecento italiano, attraverso un viaggio nelle tradizioni secolari delle comunità montane e lungo il tracciato delle radici dialettali e popolari del nostro Paese; dall’altra si ripercorrono minuziosamente gli eventi e le dinamiche umane che, nella loro concatenazione minata da superficialità e negligenze, culminarono nel disastro.
“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” è l’Italia che vuole rialzarsi dopo lo sfacelo delle guerre mondiali; l’Italia che inventa, scopre e sperimenta; il Paese delle grandi opere civili che, in meno di vent’anni, ricostruisce sé stesso e parte del proprio futuro. Lo spettacolo presenta la reale ricostruzione degli accadimenti processuali relativi alla tragedia che colpì, il 9 ottobre, il territorio al confine tra la provincia di Belluno e quella, al tempo, di Udine (oggi di Pordenone), conosciuta come “il disastro del Vajont”.
“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” rende presente un accadimento che, pur parte di un recente passato, dichiara tutta la sua drammatica attualità nel profondo e complesso rapporto tra uomo e natura, nella crescente richiesta di energia ed il conseguente bilanciamento tra questa e la tutela dell’ambiente. Così, questa storia, nel suo incedere, dalla prospettiva particolare degli eventi che la caratterizzano, si amplifica in una dimensione generale, diventando il racconto di Sarno, della Val di Stava, fino alle tristi vicende di San Giuliano di Puglia, Amatrice, Rigopiano e Genova, il cui comune denominatore si rinviene nell’uomo e nella sua avidità, nella sua scientifica aggressione delle risorse naturali, attraverso il disboscamento, la cementificazione selvaggia e l’edificazione abusiva, turbando, con la sua delittuosa ingordigia, gli equilibri millenari di ogni forma di vita, finanche la propria.
La storia – Era la sera del 9 ottobre 1963 quando si verificò il disastro del Vajont. La frana che precipitò dal pendio del monte Toc causò la tracimazione del sottostante bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont. L’acqua contenuta nell’invaso si tramutò in un’onda gigantesca che aggredì prima i paesi di Erto e Casso, vicini alla riva del lago e, conseguentemente, scavalcando lo sbarramento cementizio della diga, si abbatté su alcuni abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, provocando oltre 2000 morti. Le cause della tragedia, in base alle sentenze definitive, furono ricondotte ai dirigenti e ai progettisti della S.A.D.E. – ente gestore dell’opera – i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino a ospitare un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni, i vertici dell’ente, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolo i dati emersi dalle perizie, ottenendo altresì l’avallo degli enti nazionali e locali responsabili del controllo dei requisiti necessari per la realizzazione di simili opere.
Lo spettacolo – “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” si svolge attraverso il racconto del narratore (Andrea Ortis) che, con il supporto di proiezioni documentali, filmati, immagini storiche e musiche, presenta la vicenda del Vajont e guida il pubblico in un percorso a ritroso nel tempo, dettagliando, secondo gli accadimenti processuali, i retroscena della disgrazia e le ragioni che la determinarono. La narrazione, posta in un tempo presente, è intervallata dalla presenza in scena di due ambienti posizionati nel passato: lo studio dell’ingegnere Carlo Semenza (Michele Renzullo), responsabile del dipartimento di idraulica della S.A.D.E. e progettista della diga del Vajont e la casa di Tina Merlin (Selene De Maria), unica giornalista che all’epoca dei fatti si batté per i diritti delle popolazioni montane interessate. L’impianto visivo, costituito dall’utilizzo di proiezioni animate, è un supporto storico-documentale di assoluto valore, che accompagnando tutto il tracciato della narrazione con una ricostruzione dettagliata e circostanziata dei fatti, agevola la comprensione e l’ascolto. A questo si aggiunge la presenza di un ultimo personaggio: una famiglia di montagna composta da tre fratelli (Elisa dal Corso, Jacopo Siccardi, Mariacarmen Iafigliola) che racconta, in prosa e canto dal vivo, (con esecuzione di brani che vanno da Beniamino Gigli ad Elvis, dai Beatles a Mina, dal Trio Lescano a Celentano) attraverso il proprio vissuto, da una parte, la variazione di moda e costume portata dal progresso nelle case degli italiani e nelle comunità montane, dall’altra, l’arrivo nella valle del Vajont della S.A.D.E., la conseguente costruzione del bacino artificiale e l’immane tragedia del 9 ottobre 1963.
Note di regia – «Ognuno ha il “suo” dolore. La storia del nostro Paese è piena di vicende non risolte, nascoste, occultate; storie senza pace e senza giustizia, in cui a rimetterci sono gli ultimi, la gente comune e a soccombere è l’uomo con tutta la sua umanità. A volte è proprio questo dolore che crea partecipazione e, quasi inspiegabilmente, unisce tutti, in una comunità allargata, solidale, stimolata da fatti che, più di altri, ci colpiscono e ci chiamano in causa. Dissesto idrogeologico, domanda di energia e abusi edilizi sono temi della contemporaneità, intrecciati ad un passato dalle cui dinamiche, che continuano a scuoterci riproponendosi nel presente, non possiamo distogliere lo sguardo. Ognuno ha il “suo” dolore ecco perché la storia del Vajont è la storia di tutti, un monito attualissimo che parla alle nostre coscienze, richiamandoci al ruolo di ospiti in questo pianeta, non di padroni. Solo riconoscendo i nostri limiti e i nostri errori; solo presentando la verità possiamo immaginare una ripartenza che si fondi sulla capacità dell’uomo di credere in un bene comune, che coinvolga in una dimensione più ampia, corale, parti di un paese nel quale poterci sentire “pubblico” ed “attori principali”. Ognuno ha il “suo” dolore. “Il Vajont”, nella storia delle mie origini friulane, è il mio».