«La morte vorrei affrontarla ad armi pari
anche se so che infine dovrò perdere,
voglio uno scontro essendo tutta intera,
che non mi prenda di nascosto e lentamente».
Queste le ultime parole pronunciate in un’ intervista dalla poetessa tuderte Patrizia Cavalli, che con la morte ormai tra le labbra, ripose in queste parole il suo spirito tenace.
Nata a Todi nel 1947, compie la sua formazione nella bella cittadina umbra, fino alla frequenza nel liceo classico Jacopone da Todi.
All’età di vent’anni si trasferisce a Roma negli anni delle prime manifestazioni giovanili, delle occupazioni di scuole e di fabbriche. Proprio in tale fervore rivoluzionario Patrizia Cavalli comincia a muovere i suoi primi passi nel mondo artistico.
Poco dopo conosce la scrittrice Elsa Morante, che scopre la sua vocazione poetica e la introduce nel ricco mondo letterario romano di quegli anni, armonioso connubio di idee e arte. E’ infatti dalla solida amicizia con Elsa che nascerà Le mie poesie non cambieranno il mondo nel 1974, opera dedicata proprio alla Morante. La sua vita letteraria è molto prolifica: seguono le raccolte Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio, concludendo il suo ciclo di poesia con vita meravigliosa.
È con quest’ultima opera che affronta il tema della malattia e la morte, lanciando un grido verso l’illusione d’un ultimo spiraglio di speranza. Infatti l’opera ne certifica la mescolanza di intuizioni, l’impronta di una voce che è cambiata, divenendo l’unica àncora di salvezza capace di salvaguardare ciò che ormai era diventato ineluttabile. Ciò che colpisce i lettori è la naturalezza, la forza delle sue parole che squarciano, opprimono ma sono allo stesso tempo salvifiche: fiumi di parole che come vascelli galleggiano nella tempestosità poetica che caratterizza le sue poesie.
Fu una donna permeata da forze appassionate, ma ciò che la rese unica fu la sua capacità di scavare nel caos che la circondava, estrapolando dalla realtà le parole più pure: sembra di poter percepire una vitalità sottesa anche nei suoi racconti di infelicità quotidiane, in parte sommersi dal resto. Perché è proprio questo ciò che era il suo spirito poetico: una tempesta di ricordi d’un amore assente o profondamente idealizzato, che le provocò un’agonia e una sofferenza tali da dover ricorrere ad un unico rimedio: la solitudine.
E’ affascinante notare come la poetessa si aggrappi nelle sue poesie a bellezze intangibili per spiegare quell’urgenza fisica di vita, che raggiunge ognuno di noi prima o poi, per il semplice fatto che è umano, naturale legarci a tali necessità. Dietro ad un linguaggio piano, quotidiano la Cavalli cova un’ attenta ricerca stilistica, capace di ribaltare totalmente la prospettiva del lettore e di far procedere la mente nella lettura in una sorta di sospensione. Struttura infatti la sua poesia sul contrasto fra leggerezza e profondità e dolore e resistenza, che realizzò per poter motivare quel suo vivo bisogno di realizzare un equilibrato quadro esistenziale.
Ruggero Guarini ha definito la poesia della Cavalli una “mistura tra erotismo e purezza, audace tenerezza, candore intelligenza, saggezza e futilità.[…]”
E’ impossibile perciò definire la grandezza poetica di questa donna e la capacità di coinvolgimento emotivo dei suoi versi che irrompono con una autenticità tale negli occhi di chi legge che è difficile dimenticarsene.